Elsa Albrile, ora ottantanovenne, si racconta anche nel ruolo della partigiana MIRKA ...

Parte prima: un "quadro" della vita alpignanese sotto il fascismo, visto con occhi di bambina e ragazza...

"Sono nata a Torino, sono nata a Torino in maternità.  Mio padre era di Alpignano. Mia madre era Lucana, di Avigliano, 10 chilometri da Potenza

No, non sono nata in casa. Allora c’era l’ostetrica e proprio lei ha consigliato a mia madre che sarebbe stato meglio l’ospedale.

Mia madre è venuta su  nel 1915. Mio padre lavorava giù: lei era figlia unica, e suo padre era morto che lei aveva 12 anni. Sua mamma aveva una casetta con un po’ di camere: una era libera e facevano da mangiare ai piemontesi che erano lì che lavoravano, perché da Potenza ad Avigliano facevano la ferrovia.

Mio padre faceva i caselli, la stazione… era muratore. In quel tempo lì è arrivata la cartolina per andare in guerra nel 1915. In fretta e furia ha chiesto ad Alpignano, ai suoi, che gli facessero avere i documenti che si sarebbe sposato e poi sarebbe venuto su.

 Mia madre andava a mangiare a casa dei miei nonni, fin quando non ha trovato un lavoro, laggiù dov’era la fabbrica delle lampade…Mio padre glielo aveva detto che se veniva su un lavoro l’avrebbe trovato. Però è rimasta sola nei giorni in cui doveva partorire. Cioè, l’ostetrica andava in tutte le case, e c’era sempre qualcuno che apriva e chiudeva la casa. Lei non aveva nessuno e l’ostetrica l’ha fatta entrare in ospedale.

Sono nata nel maggio del 1918; eravamo 9 figli, abitavamo oltre il Marino, dopo la ferrovia, la casa che si trova subito lì, che da una parte si va nei boschi e dall’altra si va su…

Ho fatto le elementari. Quando ho iniziato la scuola, erano solo due anni che c’era la 5°. Ho frequentato la Riberi, era l’unica scuola che c’era, però la 5° non era alla Riberi, bisognava attraversare la strada dove c’è il panettiere, oltre…c’era un portone, si salivano le scalette e lì c’era un aula di recupero dove si faceva la 5°. Dopo, sono andata  a Rivoli alla domenica, al Fiorito, al mattino, a pagamento.

Io ero un po’ ribelle. Mia madre veniva da giù, dove le ragazze non andavano in bicicletta, non saltavano la corda… Io la corda l’avevo sempre con me: in qualsiasi posto dove mi trovavo, in qualsiasi spazio, anche in strada, io saltavo la corda. A mia madre non andava bene.

Quando lei è venuta qui, ha trovato brutto Alpignano, diverso dal paese suo, che era più bello…Infatti aveva ragione: non poteva andare in bicicletta perché era un paese arroccato, saltare la corda neanche… mio padre alla fine rideva, non prendeva tanto le mie parti, perché ero piuttosto pronta a rispondere. Dicevo. “… meno male che qui non siamo ad Avigliano!”. Poi un giorno mio padre disse a mia madre:”… per te sarà un dispiacere  che lei non è una ragazza sottomessa come sei stata tu, ma  questo non può essere, perché vive in un posto diverso dal tuo”.

 Io non  avevo molte amiche, perché non avevo tempo. Quando smettevo la scuola aiutavo tanto mia madre, lavavo facevo tutto quello che potevo. Lei non aveva tanta voglia di vedermi andare da sola alla bialera, a me piaceva molto.

Intorno a casa nostra c’era solo il casello ed un’altra casa più in alto. Non c’erano altri bambini intorno. Con i miei fratelli e sorelle c’erano anni di differenza. Con l’altra mia sorella c’erano 7 anni di differenza; l’altra aveva ancora un anno di meno. Con mio fratello c’erano due anni. Ma quando lui aveva 8 anni, andava con il fratello di un suo amico in Dora. Mia mamma non poteva andare d’estate a lavare nella bialera, perché l’acqua era torbida, ma andava in Dora. Noi andavamo con lei spingendo il carretto, dove mettevamo la roba e le bacinelle. Mia mamma ci guardava a vista.

 Del fascismo ricordo che davano l’olio di ricino  con il buiolo e mestolo dei muratori,  grosso così. Lì, dove c’era il Comune, allineati c’erano tutti gli uomini che  avevano preso nelle case durante la notte, e poi davano loro tante di quelle botte perché si rifiutavano di prendere l’olio.

La gente veniva facendo finta di niente, e buttava l’occhio dalla cooperativa. La cooperativa era dei soci di Alpignano, anche mio padre era socio.

La cooperativa c’era già prima che io nascessi, era tanti anni che c’era.

Un mattino mia madre ci fece alzare presto, era verso Natale, era buio, io pensavo che saremmo andati via. “Bisogna andare a prendere il pane” - disse. Ma per andare a prendere il pane dovevo svegliarmi alle 7? E mia madre disse che era necessario, perché più tardi non ce ne sarebbe stato più, perché c’era un po’ di movimento in paese.

Quando sentii così, siccome ero curiosa e dovevo sapere cosa succedeva, le chiesi in fretta di darmi colazione, per uscire in fretta a prendere il pane. Quando sono arrivata giù, davanti al panettiere (che allora era in via Matteotti) c’era una coda fin fuori. Io mi misi in fila, e ad un certo punto si avvicinò un carabiniere e mi chiese se ero sola e se avevo bisogno del pane. Mi prese per mano, mi fece passare tutta la fila e mi fece dare il pane, poi mi disse di correre a casa e  di non uscire più. Una volta a casa, dissi a mia madre che sarei andata da mio zio, al dopolavoro, che era in via Matteotti.

Il dopolavoro era frequentato da tutti, ma soprattutto dai socialisti. C’era anche Chiri, che ha fatto tanta prigione perché era socialista, e che ha preso delle botte a destra e sinistra, ma non ha cambiato idea. Alla fine diventò Sindaco. Il primo Sindaco di Alpignano. Quel mattino, dunque, per prima cosa sono andata a comprare il pane e l’ho portato a  casa, e poi  sono andata di nuovo giù. Alla cooperativa c’era il messo comunale che distribuiva ai soci della roba e la segnava in un libro. Mio zio lavorava, e loro, i fascisti, sono andati in casa sua e hanno buttato giù tutto il mobilio dal balcone. L’ho visto io: mobilio, bicchieri, stoviglie. E mentre vedevo la roba che volava giù, ho visto due carabinieri con mio zio che lo portavano via, a Pianezza. E’ stato un mese nella prigione di Pianezza, e quando è uscito aveva la barba lunga e non lo conoscevamo più. Mia zia, che aveva i bambini piccoli, li ha presi ed è andata da mio nonno, in via Sommellier. Mio nonno non aveva l’alloggio per tutti….

 Non ci sono state intimidazioni subito: “loro” organizzavano le gite, radunavano i ragazzi tutte le domeniche e li portavano da qualche parte. Insomma attiravano  i giovani in quel modo. Poi, tra questi giovani, i più vecchi, non è che avevano cambiato idea, se ne stavano tranquilli…

La cooperativa non c’era più, l’avevano fatta chiudere. Il dopolavoro pure. Non c’era più niente. Cioè c’erano 5 o 6 sale da ballo; di là di Dora io non sono mai andata…in via Cavour…; al Belvedere c’era l’Albergo e la sala da ballo; e  al Fiorito c’era anche la sala da ballo…

Ho iniziato a lavorare a 12 anni alla Philips, ma stavo sempre male a causa del gas…e pensare che avevo un bel lavoro! Ma ogni giorno mi veniva male e andavo sovente in bagno, stavo una mezz’oretta e al pomeriggio anticipavo l’entrata per recuperare…ma la cartolina la bollavo all’orario di entrata.

Di pomeriggio mi prendeva meno quel male; di mattina mi prendeva sia a stomaco vuoto che pieno. Così non mangiavo a colazione, e poi neanche a pranzo.

Mia madre non era tanto tenera: non osavo dire che  mi vergognavo perchè tutti i giorni dovevo stare via dal lavoro un’ora perché stavo male… Un bel momento mio padre le disse: “… dì a Elsa che non vada più, non vedi che viaggia solo il grembiule?” Però ho lavorato un anno e non l’hanno conteggiato nemmeno per la pensione, perché si partiva dai 14 anni…. Dopo di lì sono andata al Fiorito, stavo bene

C’era il tabaccaio e l’albergo. La mamma si occupava dei pranzi, perché tutti i giorni c’era gente a mangiare. Nella tabaccheria c’era Rosa, la ragazza. Io ero un po’ di qua e un po’ di là, pulivo e lavavo i piatti. Lì sono stata un anno, un anno e mezzo, poi sono andata a Rivoli, alla filatura.

La filatura era su, in cima alla via maestra. Dove c’era il Comune c’era una piazzetta con due vie: una che scendeva e una che andava su; e su questa che sale, c’era un portone grosso e lì c’era la filatura. Anche lì sono stata un anno: andavo a piedi, con la neve fino alle ginocchia. Non mi piaceva molto, ma non c’era altro. Poi sono andata all’officina, perché lì chiudevano.

La portinaia mi aveva chiesto se volevo fare la babysitter, io ho accettato perché così avrei portato sempre qualche soldino a casa a mio padre (perché se li prendeva mia madre, non  li tirava più fuori i soldi). Andavo a casa alla domenica. Per un anno ho guardato le bambine. Erano tre. Io facevo altre cose, ma la signora non voleva che facessi altro, al limite lavare i piatti. E così facevo. Dopo un anno mi disse che, se volevo, potevo andare nell’officina a lavorare al tornio, e lei si sarebbe guardata le bambine. Ma mio padre non voleva, perché sarei stata sola ad andare  e venire da Rivoli, a differenza del posto dove lavoravo prima, perché c’erano altri e si faceva la strada insieme. Alla sera, lì, facevano dei lavori per l’aeronautica.

Mi sono sposata il sei maggio del 1937, non avevo ancora compiuto 19 anni. Mio marito non era di qui. L’ho conosciuto vicino ad Almese. Ero con una mia amica di Rivoli, che andava dallo zio per vedere se c’erano delle pesche. Andammo in bici una domenica, c’era festa del paese e il ballo al palchetto. E mentre lo zio vedeva quante pesche poteva darle, noi siamo andate a sentire la musica. C’erano poche coppie, e c’erano tante ragazze più vecchie di me, e di Alpignano anche. Io già pensavo che l’avrebbero detto a mio padre, che mi sapeva a Rivoli. Mio “marito” mi chiese di ballare; ho ballato la quadriglia ma friggevo… Dissi alla mia amica di andar via, ma lei rispose che dovevamo aspettare lo zio, che era andato nei campi, ed io ero in ansia… Poi alla fine siamo venute via. Queste ragazze di Alpignano andavano spesso lì, e mio marito le conosceva già, e lui chiese loro se mi conoscevano. Una di loro mi conosceva e così la domenica dopo me lo sono ritrovato in mezzo ai piedi. Qui ad Alpignano c’era festa in Girolina, era il 15 agosto e si  ballava. Mio padre mi aveva dato il permesso di andare.

Non pensavo di vederlo arrivare lì, è stato un caso. Con me c’erano mia zia e mia sorella, che aveva 10 anni. Mi sono sentita toccare la spalla e mi sono detta: “…povera me, di nuovo questo qui”. Ho ballato più di una quadriglia, e siccome mio padre si era raccomandato di non tornare a casa oltre la mezzanotte, io ho fatto così. Mi ha chiesto se poteva accompagnarmi, e poi con la bici sarebbe andato a casa. Non l’ho più visto per un pò di domeniche. Poi, lo vidi vicino alla stazione in bici, io ero a piedi e mi ha fermato per parlare. Gli ho detto che non potevo impegnarmi perché a casa mia c’era poco ed io ero a lavorare a Rivoli. Poi è andata avanti così  nove mesi, io gli ho detto che ne avevo abbastanza, non volevo avere preoccupazioni perché dovevo lavorare. Invece lui ha deciso di sposarsi. Così è andata. Aveva una fidanzata qui ad Alpignano. Era fidanzato da cinque anni. Io non lo sapevo prima, perché se lo avessi saputo non lo avrei accettato. Siamo andati ad abitare a Ferriera e ci siamo stati 29 anni prima di ritornare in Alpignano...

Ero andata a lavorare un anno anche alla Pizzi di Cascine Vica, ma guadagnavo poco e allora ho rifatto domanda per la Philips. Alla Philips, se era bello, andavo in bici, altrimenti in bici fino ad Avigliana e poi in treno. Mio marito lavorava in ferriera

 Non ci aspettavamo l’annuncio di guerra. Mio marito era stato richiamato perché era stato in sanità, e doveva rinnovare il suo percorso, fare cioè un corso, e li hanno richiamati tutti all’ospedale militare di Torino. Aveva già fatto la guerra, ma in Africa non c’era mai andato perché, combinazione, era sempre indietro quando doveva salire sulle navi.

Quando io l’ho conosciuto, era a casa da soli 15 giorni. Poi l’hanno richiamato di nuovo nel 1938 per rifare il corso e l’hanno fatto fermare. Il rancio non lo mangiava, la sera andava a cenare nelle bettole, ed io lavorando ai Pizzi guadagnavo poco, e non c’erano molti soldi da dare anche a lui, e così ho fatto domanda alla Philips. L’annuncio della guerra l’ho vissuto così: quando è suonata la sirena sapevamo già che dovevamo uscire. Alle sei di sera siamo andati alla stazione, c’era un microfono e c’era il Duce che parlava: ha detto che aveva già avvertito tutte le Nazioni e che da quel momento eravamo in guerra.

C’era un po’ di ignoranza: non avremmo mai dovuto credere che sarebbe stata una guerra lampo. E’ durata 5 anni.

Mio marito non  aveva ancora finito il corso, e non lo mandavano a casa. Poi con l’esonero, è venuto a casa

C’era poco da mangiare e andavo io di qua e di là a cercare. I miei suoceri e mia cognata avrebbero fatto la fame… Io andavo alle Milanere a tutte le ore e, passando dove conoscevo, dicevo: “ … sabato vengo di nuovo, mi tiene un po’ di roba?” Io andavo e mi portavo via un po’ di tutto: uova, farina, magari poca roba. Poi, quando mio marito è venuto a casa, ci hanno dato un pezzo di terra e abbiamo seminato il grano. Una volta veniva la macchina per il grano in ogni cortile, invece noi dovevamo andare a Villardora a portare il grano; ognuno doveva andare lì per conto suo. Alle 5 del mattino si andava con il carro, ed una volta siamo passati per ultimi, ed io sono andata sulla macchina da sola per battere il grano, perché essendo stata ultima, erano già andati tutti via e non c’era neppure mio marito…

C’erano posti di blocco lì intorno … e c’erano i bombardamenti.

La sera dopo l’annuncio della guerra, erano già a Torino, avevano solo la strada di Collegno per passare… Quando suonava l’allarme erano già su di noi,  che andavamo nelle cantine delle case a ripararci. Dicevo sempre: “… che suoni pure l’allarme, stasera non esco proprio...” Poi, quando  suonava  l’allarme, si andava tutti via…

Mia suocera aveva la borsa preparata per andare via. Andavamo tutti nella stessa casa.

C’erano sfollati a Buttigliera.

Noi abitavamo nelle case operaie e non era un posto tanto felice perché c’era la strada per andare in Francia e la ferrovia: bombardavano lì. Mettevano il blocchi a Ferriera: chi veniva da Rivoli o da Avigliana veniva fermato lì. Alla stazione di Avigliana, sul binario morto c’era già il treno pronto per la tradotta per quelli che prendevano, per portarli in Germania.

Io ho vissuto così,  andando avanti e indietro, e il 25 luglio 43, quando il Duce è caduto, noi non sapevamo cosa sarebbe successo: era tutto una sorpresa.

Qualcuno pensava che sarebbe andata meglio;  quello (il Duce) era carismatico, a qualcuno piaceva pure, ma la gente era stufa, la guerra non la voleva più, la gente non ne poteva più anche in fabbrica.

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testimonianza raccolta da Mariella De Vietro